Made in Italy: Tra Realtà e Marketing

Made in Italy: Tra Realtà e Marketing

Il prestigio del ‘Made in Italy’ è indiscusso, ma quando l’etichetta non riflette l’origine reale, il confine tra eccellenza e inganno si assottiglia pericolosamente.

Il marchio "Made in Italy" è da sempre sinonimo di eccellenza, qualità e artigianalità. Tuttavia, spesso dietro questa etichetta si nasconde una realtà ben diversa da quella percepita dai consumatori. In molti casi, il "Made in Italy" non corrisponde all'effettiva origine doganale del bene, ma diventa un potente strumento di marketing. Questa discrepanza tra l'origine reale e quella dichiarata è al centro di numerosi scandali e sanzioni.

Per comprendere il problema, bisogna partire dalla distinzione tra origine doganale e l'etichetta commerciale. L'origine doganale di un prodotto è definita da regole precise stabilite dal Codice Doganale dell'Unione Europea. Essa indica il luogo in cui il prodotto è stato integralmente ottenuto o ha subito una trasformazione sostanziale. Al contrario, il "Made in Italy" può essere utilizzato se l'ultima trasformazione significativa avviene in Italia, anche se la maggior parte della produzione è stata effettuata all'estero. Questo lascia spazio a interpretazioni che molte aziende sfruttano per valorizzare i propri prodotti agli occhi dei consumatori. Un esempio emblematico riguarda il settore della moda. Molti capi etichettati come "Made in Italy" sono in realtà prodotti con tessuti provenienti dall'Asia, mentre in Italia avviene solo una fase finale, come l'assemblaggio o l'etichettatura. Nel 2021, un noto marchio di calzature è stato multato per aver venduto scarpe dichiarate italiane, ma prodotte principalmente in Romania, con un intervento minimo effettuato in Italia, come l’aggiunta dei lacci. Simili casi si sono verificati anche nel settore agroalimentare, dove prodotti come olio d’oliva e pasta, pur etichettati come italiani, utilizzavano materie prime importate da Tunisia, Spagna o Canada. Queste pratiche sollevano dubbi sull’autenticità dell’origine dichiarata e mettono in discussione il valore reale del "Made in Italy".

Il ricorso al "Made in Italy" come strategia di marketing è innegabile. L’etichetta richiama un immaginario collettivo fatto di tradizione, design, e qualità artigianale, che aumenta la percezione del valore del prodotto e giustifica spesso un prezzo più elevato. Tuttavia, quando emerge che l'origine effettiva è diversa, le conseguenze possono essere gravi. Le aziende rischiano non solo pesanti sanzioni, ma anche un danno reputazionale difficilmente recuperabile. Ad esempio, nel 2018, un’azienda produttrice di olio d’oliva è stata multata per aver etichettato come italiano un olio ottenuto con olive importate. Questo caso ha sollevato grande indignazione tra i consumatori, che si sono sentiti ingannati.

La questione non riguarda solo le aziende che operano ai limiti della legalità, ma anche quelle che, pur rispettando la normativa, sfruttano lacune regolamentari. La normativa europea consente infatti di dichiarare un prodotto "Made in Italy" se l’ultima trasformazione sostanziale avviene in Italia, indipendentemente dalla provenienza delle materie prime o dalle fasi produttive precedenti. Questo lascia ampio margine di manovra per chi desidera sfruttare il prestigio del marchio Italia senza investire realmente nella produzione locale.

Questa pratica, sebbene tecnicamente legale in molti casi, solleva importanti questioni etiche. Inganna il consumatore, che associa il "Made in Italy" a un prodotto interamente realizzato in Italia, e crea una competizione sleale nei confronti delle aziende che realmente producono nel nostro paese. Queste ultime, affrontando costi più elevati per mantenere una filiera interamente italiana, si trovano spesso penalizzate rispetto a chi utilizza strategie meno trasparenti.

Le sanzioni e le campagne di sensibilizzazione rappresentano un passo importante per combattere l’uso improprio del "Made in Italy", ma non bastano. Serve una maggiore trasparenza lungo tutta la filiera produttiva. Tecnologie come la blockchain possono giocare un ruolo cruciale in questo contesto, permettendo di tracciare ogni fase del processo produttivo e garantendo al consumatore informazioni dettagliate sull’origine reale del prodotto. Attraverso strumenti come i codici QR, è possibile accedere a dati certi e verificabili, rafforzando così la fiducia nel marchio Italia.

Per le aziende che desiderano esportare, è fondamentale prestare particolare attenzione alla corretta individuazione e dichiarazione dell’origine del bene. Una dichiarazione errata o imprecisa può comportare gravi conseguenze, sia in termini di sanzioni che di danno reputazionale.

 

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